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lunedì 7 luglio 2014

Paraguay la terra è degli Avá Guaraní - Salviamo la Foresta

"Dove andiamo? Questo è il nostro posto.
Se ci cacciano, ritorneremo",
ha detto il leader Ramón López.                                                                                                          Foto: Conapi

"In queste settimane, gli indigeni Avá Guaraní hanno subito due attacchi nel loro territorio. Alla base, l'inesorabile progredire dell'allevamento estensivo e la coltivazione di soia per l'esportazione. Solidarizzate con la comunità Y'apo e chiedete al governo del Paraguay di fermare la deforestazione provocata da queste attività, firmando questa petizione

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Ora potete seguirci anche su Twitter: @SalviamoForesta e potrete condividere così le nostre petizioni.

Grazie per la diffusione che farete di questa azione tra le vostre reti di contatti.

Saluti cordiali

Elisa Norio
Salviamo la Foresta"

"In tutto il Paraguay, 900.000 persone sono state sfollate per l'avanzare della frontiera agricola. Di recente è accaduto a cento famiglie Avá Guaraní, della comunità indigena Y'apo, a Corpus Christi, nella regione di Canindeyú. Significa deforestazione in funzione dell'espansione della monocoltura di soia e dell'allevamento.

Il 20 maggio, 300 poliziotti antisommossa hanno invaso la comunità Y'apo, distruggendo e bruciando le loro case, il loro jerokyhá (tempio), gli oggetti sacri, quelli personali e comunitari. I danni sono irreparabili e il dolore delle persone della comunità, profondo. Si sono visti obbligati a rifugiarsi nella loro foresta. Non hanno opposto resistenza. In giugno c'era stata una nuova incursione di 50 agenti privati, armati, uno di loro è morto e numerosi indigeni furono feriti.

“L'intenzione è di cacciare gli indigeni dal loro territorio per poi fare spazio all'allevamento e alla soia, dove di fatto c'è già ” denuncia la madre Raquel Peralta, della Coordinazione Nazionale della Pastorale Indigena (Conapi), organizzazione che dipende dalla Conferenza Episcopale del Paraguay (CEP).

La compagnia Laguna SA ha comprato 5000 ettari di terra abitata dagli indigeni ed ha effettuato tagli intensivi di alberi nella vicina comunità indigena e in tutta la zona di Yvyrarovana, vicino alla riserva naturale di Mbaracayú, che sta subendo la deforestazione per la conversione in piantagioni di soia.

L'85% della terra del Paraguay è nelle mani del 2,5% di proprietari, creando di fatto questi gravi conflitti in relazione all'accesso alla terra. In Paraguay si ricorda ancora il massacro di Curuguaty, nella stessa regione, dove in un conflitto simile, due anni fa, morirono 11 persone.

Unisciti alla petizione di Salviamo la Foresta per solidarizzare e reclamare l'ingiustizia."

domenica 22 giugno 2014

Liberia: fermiamo gli accaparratori di terra! - Salviamo la Foresta

Il Clan Jogbahn della Liberia si batte per le proprie terre

La comunità del clan Jogbahn in Libera si batte da anni per fermare la compagnia palmicultrice EPO, che vuole appropiarsi delle loro terre senza permesso. Firmate la nostra petizione per appoggiare le comunità e dire al direttivo della EPO e al suo socio di maggioranza, la Kuala Lupmpur Kepong (KLK), che la terra del clan Jogbahn non si tocca
FIRMA ADESSO  

Grazie per la diffusione che farete di questa petizione fra le vostre reti di contatti.
Saluti cordiali
Elisa Norio
Salviamo la Foresta
Rettet den Regenwald e.V.

"Tutto quello che ci hanno lasciato i nostri antenati è conservato in questa foresta", dice Chio del clan Jogbahn della Libera.

Da secoli, il clan vive in questi luoghi. Sono loro che decidono il destino delle loro terre. Oggi, la compagnia britannica Equatorial Palm Oil (EPO), vuole tagliare la foresta per avviare le piantagioni di palma da olio. Secondo Amici della Terra, EPO sta realizzando degli studi che di norma precedono la deforestazione. I membri del clan Jobghan non l'hanno permesso e mai lo permetteranno.

L'opposizione alla EPO risale al 2012. Allora tagliarono le prime porzioni di foresta e piantarono le prime palme da olio. Anche campi coltivati e pascoli furono distrutti. In ogni riunione con la compagnia e le autorità locali, il clan Jobghan ha reiterato il suo diniego al sacrificio delle proprie terre.

Il conflitto si è acuito quando in settembre le forze di sicurezza, assieme a gruppi paramilitari, hanno ataccato con violenza componenti del clan Jogbahn. Molte persone furono ferite e trattenute in modo arbitrario.

Nel marzo scorso, il clan Jogbahn ha celebrato un trionfo. La presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf ha preso le parti della comunità. Però l'allegria è stata breve. La compagnia EPO non si è lasciata impressionare dalle parole della presidente, e incurante dei diritti del clan ha continuato a preparasi per la deforestazione. Il clan Jogbahn ora si sente abbandonato nelle sue rivendicazioni. “Il governo ci deve aiutare, affinchè possiamo vivere nella nostra terra, invece di concederla ad una compagnia che se ne va una volta ottenuto il suo profitto”, afferma Garmondeh Benwon.

Il clan Jogbahn ha bisogno di appoggio internazionale. Dite al direttivo della EPO e al suo socio di maggioranza, Kuala Lupmpur Kepong (KLK), che la terra del clan Jogbahn non si tocca."

mercoledì 14 maggio 2014

TERRA NERA - documentario di Simone Ciani e Danilo Licciardello

Pregevole ed importantissimo lavoro di Simone Ciani e Danilo Licciardello...non posso che diffondere il più possibile questo allarme. 

"Il land grabbing è l’accaparramento delle terre da parte di Stati, investitori locali, internazionali o transnazionali. Il fenomeno si estende all’intero pianeta dove, con il beneplacito della Banca Mondiale e di politiche corporate-friendly, milioni di ettari di terreni e di risorse naturali vengono ceduti alla speculazione. Un fenomeno che ha subito un’accelerazione in questi ultimi tempi, tanto che, in tre anni, secondo la FAO, solo in Africa sono stati venduti 20 milioni di ettari di territori.

Le sabbie bituminose (tar sands) sono depositi di sabbia e argilla satura di bitume ovvero petrolio allo stato solido o semi-solido. La lavorazione delle sabbie bituminose genera diversi agenti chimici altamente nocivi: idrocarburi policiclici aromatici, mercurio, arsenico, acido naftenico e diossido di azoto. La produzione di un barile di petrolio da sabbie bituminose richiede mediamente l’utilizzo da 2 a 4,5 barili di acqua e rilascia nell’atmosfera, secondo la tecnica di lavorazione impiegata, tra il 17 e il 23 % di gas ad effetto serra in più rispetto a un barile di petrolio convenzionale, oltre a causare ingenti livelli di inquinamento delle acque e della terra.

“Sono passati i tempi in cui ci potevamo permettere di pensare al petrolio come un input a basso costo per la crescita economica e sociale, senza tener conto dell’impatto sull’ambiente e sulle generazioni future“
Paolo Scaroni, Amministratore Delegato Eni – discorso all’United Nation Leadership Forum on Climate Change, Nazioni Unite – New York, 22 settembre, 2009"
(continua a leggere QUI!)

FONTE