martedì 19 gennaio 2016

Antispecismo - Anarchismo

Vi propongo qualche spunto di riflessione dell'ormai lungo dibattito su antispecismo e anarchismo, tramite alcuni articoli, lettere e interventi.



Le ragioni dell’antispecismo
di Troglodita Tribe

Sempre più spesso, nel nome di una presunta tolleranza si è disposti ad ignorare anche le più plateali ingiustizie, prevaricazioni e violenze che caratterizzano il quotidiano. La parola d’ordine è sempre la stessa: nessuno può arrogarsi la pretesa di avere la verità in tasca e dunque, come ovvia conseguenza, bisogna accettare le diverse posizioni, anche se sono del tutto antitetiche alle nostre.

Che bello! Come suona bene! Una meravigliosa fanfara democratica che aleggia nell’atmosfera rassegnata dei nostri immaginari.

Eppure, qualche verità in tasca, a ben frugare, dovremmo pur averla individuata.

Quando un popolo, un’etnia, un genere, una specie vengono massacrati, schiavizzati, imprigionati, sfruttati, la verità urla assordante chiedendo di fare qualcosa. Come si fa, in questi casi, a sostenere che, in fondo, i massacratori che la pensano diversamente da noi, hanno il diritto di continuare a massacrare e schiavizzare?

Il movimento anarchico, che queste verità in tasca conosce molto bene, per sua caratteristica intrinseca non è mai stato disposto a starsene con le mani in mano. Il movimento anarchico ha sempre perseguito, attivandosi nei modi più diversi, tutta una serie di verità in tasca che si chiamano antifascismo, antirazzismo, antimilitarismo, antisessismo...identificando in molte pratiche ed ideologie la base fondante dello sfruttamento e delle repressione.

Ma in fondo, tutti i movimenti di liberazione, partono da una verità inoppugnabile, evidente, violenta.

Quando qualcuno toglie la libertà ad un altro, quando qualcuno con qualunque mezzo assoggetta un altro al suo volere, quando qualcuno persegue i suoi interessi applicando l’ideologia del dominio, deve essere contrastato. Non è possibile accettare e rassegnarsi. Occorre, invece, ribellarsi, boicottare, far sentire la propria voce. Perché la mancanza di tutto questo, in effetti, ci rende complici del dominio e dell’ingiustizia. Il dominio e l’ingiustizia, infatti, si nutrono e prosperano rigogliosi proprio grazie al silenzio, alla rassegnazione e a questo nuovo e distorto concetto di tolleranza.

Nel 1600 Renè Descartes, filosofo e scienziato, sosteneva che gli animali non potessero provare alcun tipo di emozione, che fossero come dei vegetali o degli automi che si muovevano guidati esclusivamente dal loro istinto bestiale. A ben pensarci, questa sua tesi era l’unica accettabile se si desiderava continuare a sfruttare, imprigionare, mutilare e uccidere gli animali diversi da noi. Oggi, dopo innumerevoli scoperte e studi di etologia, nessuna persona di buon senso può negare che gran parte degli animali possano provare rabbia, piacere, noia, tristezza, gioia. Quasi ogni animale rinchiuso in una gabbia cercherà in tutti i modi di uscirne nel tentativo di riconquistare la sua libertà, quasi ogni animale desidera vivere con il suo branco o il suo stormo, proprio come molti umani desiderano vivere con la propria famiglia, la propria tribù, i propri gruppi di affinità.

Siamo di fronte, quindi, a popolazioni di persone non umane che hanno un modo diverso dal nostro di interpretare il mondo.
Dominando e sfruttando queste popolazioni, gran parte degli umani applicano platealmente e pedissequamente l’ideologia razzista (o meglio specista) sostenendo che tutto ciò che è diverso da noi non ha valore, non ha pensiero, non ha cultura, non ha diritti. Può quindi essere schiacciato e assoggettato ai nostri voleri, può essere usato in qualsiasi modo per soddisfare i nostri bisogni, i nostri capricci.

Quando si sostiene di non essere d’accordo a voler estendere anche agli animali i diritti più elementari, si scorda sempre di spiegare il perché. Perché una persona umana ha il diritto alla libertà ed una non umana può essere segregata in gabbia, mutilata, alimentata forzatamente e uccisa? Forse perché l’uomo fu creato ad immagine e somiglianza di dio e gli venne concesso l’appalto per sfruttare ogni animale terrestre? Forse perché noi siamo più intelligenti e loro un po’ più stupidi? O perché siamo i più forti, i più cinici, i più arroganti? O forse perché si è sempre fatto così, e certi insegnamenti si tramandano inesorabilmente senza possibilità di discussione?

Il movimento anarchico del futuro (e si tratta di un futuro molto molto vicino) sarà ovviamente antispecista perché l’antispecismo non è nient’altro che la naturale evoluzione di questo movimento, perché l’antispecismo smaschera senza vie d’uscita l’ideologia del dominio.

Chi se n’è accorto sta già lavorando in questa direzione. Gli altri, le altre si stanno comportando da bravi conservatori che si arroccano sulle vecchie posizioni solo perché cambiare comporta degli atteggiamenti che si credono scomodi. Mai come in questo caso si comprende tanto bene come sia difficile rinunciare alla propria posizione di potere, al proprio trono che consente di essere i padroni indiscussi con tanti schiavi che esistono al solo scopo di servire i propri interessi. E visto che gli animali non possono ribellarsi da soli, appare chiaro che a compiere un passo indietro debbano essere gli umani. Un passo indietro che mandi all’aria il trono, il dominio, il potere. Una passo indietro che permetta anche alle altre popolazioni di esistere in libertà, dignità e rispetto.

Non esiste alcuna buona ragione per accettare lo sfruttamento e la schiavitù di altri esseri senzienti, soprattutto per un anarchico, per un’anarchica. Crollate miseramente tutte le motivazioni legate alla sopravvivenza, scoperti finalmente i disastri ambientali connessi indissolubilmente allo sfruttamento animale, non resta proprio più nulla. A parte, naturalmente, il gusto del dominio, il piacere del potere, la conservazione di stereotipi e di condizionamenti ereditati da vecchie culture basate sulla violenza, sulla gerarchia, sul diritto del più forte.

Francamente non occorrono particolari approfondimenti etici o filosofici per comprendere tutto questo, per avere la percezione di come lo sfruttamento animale sia la base per costruire lo sfruttamento degli uomini e delle donne. È tutto davanti ai nostri occhi. In fondo basterebbe aprirli e chiedersi il perché.

È dunque importante sottolineare che l’antispecismo e la sua pratica di lotta per la liberazione animale, non sono soltanto una forma di attivismo contro l’ingiustizia perpetrata ai danni di popolazioni non umane, ma sono anche metodi per scardinare la grammatica dello sfruttamento: quel senso di superiorità prettamente umano che consente di dominare altre razze, generi, etnie, specie e minoranze di ogni tipo.

Troglodita Tribe
FONTE



Emancipazione antispecista
di Andrea Papi

Carissima redazione (di A-Rivista anarchica),
condivido l’impostazione culturale e filosofica di Troglodita Tribe, espressa in “Le ragioni dell’antispecismo”, apparso nel n. 367 di “A” rivista anarchica. Fabio e Lella hanno perfettamente ragione nel sostenere che la sottomissione di altre specie viventi all’egemonia tirannica della specie umana fa parte delle logiche del dominio che gli anarchici, in quanto anarchici, dovrebbero combattere, anche se in verità più che di “verità in tasca” si tratta di convinzioni e sentimenti profondi. 

Già a suo tempo, soprattutto in Per un nuovo umanesimo anarchico, ma anche con qualche sostanziale cenno in Tra ordine e caos, avevo sostenuto che l’anarchismo, concezione espressa da individui umani, dovrebbe superare il limite ottocentesco di concepire l’anarchia limitata esclusivamente alle società umane. 

Oggi, fortunatamente, si sta diffondendo una nuova consapevolezza, che riconosce che il discorso dell’emancipazione sociale non può rimanere rinchiuso negli angusti ambiti delle relazioni antropocentriche, mentre necessita di estendersi a tutte le manifestazioni della complessità degli ecosistemi, secondo me addirittura in chiave cosmica e non semplicemente in chiave terrestre. La liberazione, cioè la possibilità di esprimere individualmente e collettivamente la pienezza e la gioia della libertà in tutta la sua forza e in tutte le sue implicazioni, non può non comprendere, per coerenza endemica, l’intero arco delle relazioni e della complessità differenziata, altrimenti, al di là di ogni buona volontà, non potrà che riprodurre altre forme di dominio, in quanto tali sempre aberranti.

Ciò che non condivido è la certezza di Fabio e Lella che a breve il movimento anarchico diverrà ovviamente antispecista. Può darsi, ma non è sicuro. E che lo diventi oppure no nulla toglie al valore dell’anarchismo. Che l’anarchismo, come pratica e visone del mondo, sia di per sé, per la natura intrinseca del suo concepirsi, antispecista, lo trovo quasi ovvio, proprio perché l’anarchismo è sorto come sviluppo di un sentimento condiviso contro ogni ingiustizia ed ogni forma di dominio. 

Ma il movimento anarchico non è la stessa cosa. Il movimento è l’insieme degli individui che si riconoscono nei presupposti e nei valori dell’anarchismo e che agiscono e pensano per la loro realizzazione, sia completa sia parziale. Come dunque il movimento nacque proiettato verso una problematica sociale vissuta tutta, inconsapevolmente, in chiave antropocentrica, così non è detto che a breve tutti gli individui che si riconoscono nell’anarchismo si sentiranno, quasi “per forza”, proiettati anche verso l’impostazione antispecista.
Cari/e compagni/e, personalmente concordo pienamente con voi e, nel mio piccolo, ogni volta che mi si offre l’occasione, cerco di far comprendere come lo sfruttamento e l’oppressione che la nostra specie propina alle altre specie siano da condannare e da combattere esattamente come condanniamo e combattiamo quelli contro altri esseri umani diversi per condizioni cultura e origini. Ma i processi di consapevolezza e di emancipazione sono lunghi e difficili. Ci vuole pazienza e perseveranza, oltre che capacità di comprendere le ragioni di chi ha punti vista diversi, addirittura contrari. L’intolleranza non è mai amica delle lotte di emancipazione, qualunque esse siano, anche quelle interne al nostro movimento.

Andrea Papi
(Forlimpopoli - Fc)

Un caro ringraziamento ad Andrea Papi che, con la sua lettera pubblicata sul penultimo numero di A rivista (“A” 368, febbraio 2012), si trova in pieno accordo con noi circa il fatto che l’anarchismo, per sue intrinseche ragioni, sia da considerarsi inevitabilmente antispecista. 

Molto interessante anche la sua precisazione sulla basilare differenza tra l’anarchismo (in quanto idea) e il movimento anarchico fatto di persone che si riconoscono nei presupposti e nei valori di quell’idea.

Le persone non sono mai perfette e quindi ci vuole pazienza e perseveranza e soprattutto tolleranza.
Ma è proprio su questo termine, tolleranza, che secondo noi si gioca gran parte dello specismo
fortemente radicato non solo nel movimento anarchico vecchio stampo, ma anche in gran parte di quegli ambienti che si considerano evoluti e impegnati nella costruzione di una società libera.

La tolleranza, infatti, viene inquadrata, sempre e comunque, come un valore positivo e irrinunciabile. Ma ovviamente non è così. Tolleranza e intolleranza dovrebbero alternarsi in relazione alle situazioni.
Essere intolleranti non è solo sinonimo di prepotenza o arroganza.

L’intolleranza nei confronti dell’ingiustizia è un atteggiamento irrinunciabile per qualunque persona che scelga di non essere complice delle prepotenze e delle violenze che ogni forma di potere, puntualmente, applica. La tolleranza nei confronti dell’ingiustizia è sempre complicità. Soprattutto quando ci sono delle vittime. Vittime del razzismo, del sessismo, vittime delle dittature, vittime senza voce che possono solo contare su chi osa non tollerare le ingiustizie attraverso l’attivismo, la sensibilizzazione, il boicottaggio, la denuncia e la chiara affermazione della propria coscienza.

Questo, naturalmente, non significa rifiutare a priori opinioni diverse dalle nostre. Ma ci sentiamo di sottolineare che quando un comportamento o un’opinione politica o un atteggiamento sono già dichiaratamente intolleranti, non possono invocare, a loro volta, il diritto alla tolleranza. Sarebbe come dire che un razzista chiede di poter continuare con le sue discriminazioni e le sue violenze per una questione di tolleranza. O che un uomo desideri veder tollerato il suo buon diritto a dominare, picchiare, violentare sua moglie perché, secondo la sua opinione, l’uomo è un essere superiore e può fare della donna tutto ciò che vuole.

E per quanto riguarda lo specismo, che è il dominio su tutti gli animali non umani, sta avvenendo esattamente questo. Ci sono in ballo prigionie, mutilazioni, segregazioni al buio per l’intera esistenza, alimentazioni forzate, deportazioni, agonie. Nei casi migliori sfruttamento intensivo e uccisione quando non servi più. È davvero accettabile che una persona che si rispecchia in un’idea così alta come l’anarchismo, possa, non solo chiedere tolleranza di fronte a tali brutali e plateali ingiustizie, ma ne sia anche il complice, il mandante? 

Noi abbiamo sempre identificato nel movimento anarchico quell’insieme di persone che non ci stanno, che non accettano di adattarsi tanto facilmente alle plateali ingiustizie che governano questo mondo. Da quando abbiamo iniziato a vivere cercando di seguire questa non accettazione, che è anche una non rassegnazione, la nostra vita, naturalmente, si è fatta anche un po’ più difficile, povera, complicata, ma gli orizzonti che si sono aperti sono stati (e sono) anche un ossigeno di una qualità sempre più alta a cui oggi difficilmente riusciremmo a rinunciare. Abbiamo quindi una grande opinione dell’idea anarchica e del suo movimento a livello storico. Ma oggi non possiamo non constatare l’assordante silenzio che sta operando nei confronti dell’ideologia del dominino strettamente connessa allo specismo.

E tutto questo, per noi, è assolutamente intollerabile.

Troglodita Tribe
FONTE

Altro interessante documento è il seguente:
Benefit per le/i prigionier*: solidali con alcun*, oppressori con altr*
di Alcune individualità antispeciste – azione-antispecista@krutt.org

"...le ossa, il grasso, i muscoli e i tessuti di esseri che un tempo
sono stati vivi e che sono stati massacrati 
per assicurarsi parti dei loro corpi. 
Questa scena vi travolge e, di colpo, scoppiate a piangere. 
Il dolore, la tristezza, lo shock vi sopraffanno, 
magari anche soltanto per pochi istanti. 
E, per un attimo, siete in lutto, siete in lutto 
per tutti gli animali senza nome che stanno di fronte a voi." 
James Stanescu, Questione di specie

La catena alimentare, la legge della natura, l'oppressione del più forte verso il più debole, la disuguaglianza, il dominio: il nostro è un mondo basato sulla prevaricazione che noi non accettiamo.

C'è chi dona la propria vita per un mondo liberato: tant* sono le/i compagn* che ci hanno lasciato e che ci lasceranno, uccis* o schiacciat* da una realtà che ci opprime ogni giorno. Tant* altr*, sacrificando la propria vita, finiscono in carcere: in gabbia. Dedichiamo la nostra esistenza a combattere le ingiustizie messe in atto dai più forti e spesso ci sentiamo impotenti di fronte a tanta violenza.

Mentre siamo impegnati nelle nostre lotte, dobbiamo fare i conti anche con la repressione, facendo sentire meno soli le/i prigionier* con lettere, presidi sotto le carceri, iniziative e benefit per pagare le spese legali. Spesso, però, in questi benefit si serve carne, probabilmente perché ci si dimentica, o forse, più superficialmente, non si pensa che il contenuto di questo o quel piatto prima era un animale, un essere vivo e senziente come noi e come noi pieno di aspettative di vita, pensieri, felicità, tristezze e desideri. Istinto di libertà. 

Come si può lottare per la libertà sfruttando la schiavitù di altri esseri che, come noi, desiderano solo essere liberi? Finiamo in carcere perché non vogliamo un mondo di oppressione, senza renderci conto che, spesso, siamo noi gli oppressori. Accettare questo dato di fatto è il primo passo verso una consapevolezza generale che può permettere di realizzare un cambiamento, il cambiamento: quello verso la liberazione totale. 

La società in cui viviamo rende impossibile una vera coerenza, ma ciò non può e non deve sminuire i piccoli e i grandi passi che facciamo, possiamo e dobbiamo fare, se davvero vogliamo che la liberazione totale non sia un semplice slogan, ma diventi una realtà. I nostri spazi, liberati dal mondo e dalla società capitalistica, fino a che punto sono veramente liberi? 

La lotta non è, e non deve essere, rivolta solo contro l'esterno. Deve essere rivolta anche al nostro interno, contro le pratiche di abuso e di potere che spesso, più o meno inconsciamente, reiteriamo a nostra volta nei confronti di noi stess*, delle/dei compagn* e negli spazi liberati. Quella contro noi stess*, contro le strutture di dominio che ci sono state inculcate dalla cultura e dalla società, è forse la lotta più difficile da combattere. 

Ci impegniamo con tutte le forze per cambiare modo di vivere, per adottare un linguaggio, per intrecciare relazioni dove non ci sia posto per idee razziste e fasciste, machiste e maschiliste, omofobe e capitaliste. Siamo empatici con i deboli e con chi viene sopraffatto, perché apparteniamo tutti a una grande categoria: quella delle/degli oppress*, delle/degli sfruttat*. 

Il rifiuto di collocarsi e collocare altr* in una scala gerarchica non può essere la scelta individuale di un singolo. Se così fosse, ne conseguirebbe che potremmo accettare e perfino rispettare ogni tipo di comportamento fascista. È una scelta che coinvolge necessariamente le/gli altr*, una scelta politica. 

Decidere di non cucinare e mangiare cibo ottenuto dallo sfruttamento e dalla morte degli animali è prima di tutto, infatti, una scelta politica, un'azione diretta e concreta contro ogni dominio. In quei piatti ci sono violenza e sfruttamento, la stessa violenza e lo stesso sfruttamento che ci consumano ogni giorno, sottraendoci tempo, vita e salute, trasformandoci in prodotti selezionabili nei banchi di quel supermercato chiamato capitalismo. 

Rifiutarsi di consumare qualsiasi prodotto derivato dalla schiavitù e dalla prigionia di altri individui, umani e non umani, è l'unico modo per sottrarsi alla struttura oppressiva di ogni gerarchia, per eliminare definitivamente ogni forma di sfruttamento e di dominio dalle nostre pratiche politiche. 

Distruggiamo tutte le prigioni, non solo quelle degli animali umani. Perché fino a quando esisteranno gabbie e sbarre, nessun* potrà mai essere liber*.

Alcune individualità antispeciste – azione-antispecista@krutt.org


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