Esistono luoghi, maledettamente reali dove il sole non arriva mai, i suoi raggi non riescono a penetrare la barriera di buio profonda che essi trasmettono. Sono luoghi tristi, funerei, invadono con la loro terrificnte sensazione di morte la tua gia' vacillante resistenza alla vita, alla liberta', all'amore. Essi si chiamano in svariati modi: celle, cliniche, laboratori, mattatoi stabulari, fabbriche. Assumono le sembianze di edifici innocui, silenziosi, mascherati da giardini, da parchi rigogliosi e fertili. Esternamente sono statici, a volte puliti, lucidi, altre volte tetri, asettici ma sempre paurosamente inespugnabili, invalicabili. Hanno recinti alti e resistenti. I loro nomi sono strani, richiamano la natura, i colori, le valli, oppure la salvezza, la cura, la soluzione. Fuori non si ode nulla, sembrano vuoti, mai abitati da essere vivente, qualche piccolo ronzio ricorda che all'interno l'aria e' artificiale, ossigeno finto per la frescura dei carnefici, ma solo alcuni locali hanno il diritto a tale ronzio, solo una piccola schifosa parte. Tutto il resto dell'edificio e' una fornace, la calura e' insopportabile, non da scampo. A una prima superficiale osservazione non ci si accorge di nulla, solo le piante dei giardini si piegano dolcemente alla brezza mattutina, ma basta avvicinarsi alle pareti del perimetro e concentrarsi attentamente e si comincia a sentire qualcosa, inizialmente sembra un leggero rumore di fondo, come un passaggio di uno stormo di uccelli che si dirigono verso lidi piu' freschi. Poi piano piano, si cominciano a udire altri suoni, sono diversi e di varie tonalita', ci sono quelli gravi, pesanti, rauchi che ti bloccano il fiato, quelli striduli, acuti, che spingono le loro note all'interno delle tue orecchie, fino a imprimire al tuo timpano una compressione tale che immediatamente riconosci, cominci a sanguinare, ti sono familiari, vigliaccamente familiari. Sono lamenti, urla strazianti, sono violenza, prepotenza, infame morte. Prigioni bianche, dipinte con la calce degli innocenti, bunker resistenti alle bombe, ma non alle tue orecchie, non al tuo ignaro, fiducioso cervello che inconsapevolmente leggeva in quelle pareti una possibile cura, una salvezza inutile a scapito di coloro che non possono uscire. I gemiti, i guaiti sono talmente tanti, incalcolabili, infiniti che devi scappare il piu' lontano possibile : <Aiuto!! aiutatemi non riesco a respirare!! cosa succede li dentro, ditemelo, maledetti!>. <Devo correre, non voglio sentirli piu', sono troppi...sono troppi>. Quando poi si e' a una distanza tale per cui l'edificio non riesci piu' a scorgerlo, allora l'ansia comincia a scendere così come il panico, fino a qualche secondo prima insostenibile. Questi luoghi sono intorno a noi, sono nei centri cittadini come nelle periferie, in pianura come in montagna, in alta montagna, ma sono i nomi che li uniscono tutti, nomi semplici, che richiamano la pace. Devo concentrarmi, mi tremano le mani, concentrati Olmo...concentrati. Ecco! si, esistono altri luoghi dove il sole non riesce a penetrare, ma sono luoghi diversi. Sono le foreste che con i loro fusti alti celano al sole il loro cuore, sono i torrenti scavati nelle rocce, così in profondita' da non permettere alla luce il suo calore, sono le grotte, i fondali. E' vero anche in queste realta' il sole fa fatica ad arrivare, ma a differenza dei luoghi di prima dove la morte regna incontrastata, quì la vita e' immensa, pullula in ogni angolo, si respira la vita, la si tocca, la si accarezza. Oggi sto percorrendo un ruscello che ha scavato nella roccia per decine di metri, alla base dove mi trovo e'quasi buio, cerco la mia ombra ma non la trovo, si sente solo il respiro dolce dell'acqua, l'eco delicato dei saltelli, piccole cascatelle del colore del turchese...si il turchese, perdo il filo del discorso cazzo, ho nelle orecchie, in fondo alle orecchie, quel suono martellante di lamenti ascoltato qualche ora fa, non mi lascia scampo. Cerco di allontanarlo guardando il muschio attorno a me, tappetti meravigliosi morbidi come il velluto, le piccole farfalle nere che si posano sulla mia maglia, che curiose mi avvolgono nel cammino, ma lo sento lo stesso, allora mi concentro sulle rocce umide che traspirano acqua dai loro polmoni ma lo sento lo stesso, guardo in alto cerco il sole ma lo sento lo stesso, mi chino bevo l'acqua gelida del torrente, acqua che mi blocca il respiro, mi bagno la faccia, immergo il viso nell'acqua ma lo sento lo stesso. Lo sentiro' per giorni, maledetti...maledetti.
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